Cruciani batte Acquarius

Il libro di Giuseppe Cruciani, intitolato come un neologismo da lui stesso coniato nell’ambito della popolare trasmissione La zanzara, che conduce tutti i giorni su Radio 24, “I fasciovegani” vuole davvero tirare acqua al mulino dei mangiatori di cadaveri? Perché leggendolo io ho avuto l’impressione contraria. Cioè uno dopo averlo letto si fa inevitabilmente qualche domanda e si chiede se la propria alimentazione ed il proprio stile di vita non siano quanto meno da rivedere. Questo perché Cruciani, in uno stile impeccabile e con una punta di apprezzabile ironia sciorina una serie di dati e di informazioni sconosciute spesso anche ai più solerti e puntigliosi sostenitori delle cause animaliste, ecologiste, veg. Personalmente ho rinunciato alla carne, né più né meno come altre mie coetanee ( ho quasi 47, “morto che parla”) hanno rinunciato alle sigarette, all’alcol o al sesso: l’ho fatto perché a me, al mio corpo, faceva male. In un secondo tempo è subentrata la questione etica, ovvero la preoccupazione per le sorti di tanti esseri viventi ( non uso il termine “senzienti” per non irritare l’autore), non solo per i polli da allevamento quindi, ma anche per i manzi Kobe, quelli ai quali vengono somministrati delicati massaggi con sottofondo musicale di Mozart o di altri autori classici, dissetati ed alimentati nel migliore dei modi e che però poi finiscono ammazzati come tutti gli altri: una bella scossa, un colpo secco in mezzo alla fronte e via, “fora dale bale” e avanti il prossimo. Ma il pesce continuo a mangiarlo. E tocca proprio a Cruciani, il nemico giurato di passionali vegane e difensore di abietti domatori di elefanti o cacciatori di leoni ricordare a noi, compromissori vegetariani, quelli che “la carne no ma al grana non rinuncio” , il “pesce una volta ogni tanto dai” e “si, ho le scarpe di pelle ma sono vegetariana solo da dieci anni”, tocca proprio al meno empatico dell’etere farci la ramanzina: il pollo non lo mangiate, ma il gamberetto si? Cosa ti ha fatto di male il gamberetto per farlo affogare in un trionfo di insalate gentili e di pomodori pietosi? Zucche vuote che non siamo altro! Non sono tutti parimenti esseri senzienti, non è forse vero che un topo ha lo stesso diritto di albergare su questa terra del figlio di… ? Va beh. Qui mi scappa un sorrisetto malizioso. Ma c’è poco da ridere. Perché sono come tutti quelli che entrano in macelleria e, se pur con aria furtiva, ordinano le loro patetiche e tristi fettine di carne, guardandosi continuamente alle spalle per scongiurare l’assalto di un improvvisato presidio vegano. Ci stiamo sbagliando ragazzi, direbbe Luca Carboni. Non credo sia vegano.

Il risparmio è il primo guadagno

deoIl risparmio è il primo guadagno: me lo ha ricordato un amico di recente e per me, che sono una scialacquatrice nata, risparmiare è una vera punizione divina. Ma vediamo in termini pratico/quotidiani in cosa consiste l’arte del risparmio a casa mia. Invece di andare alla vicina Esselunga, dove non si sa perchè, non si sa come, ma esco sempre senza un euro, con una certa dose di frustrazione e di invidia per la casalinga perfetta che con 10 euro riesce a mettere insieme il pranzo e la cena, mi sono fatta furba. Per i detersivi vado alla Lidl, peraltro in linea d’aria rispetto alla mia costosa Esselunga e con meno di 3 euro porto a casa 3 litri di ottimo sapone di Marsiglia (la marca non la conosco, ma è importante ai fini del risparmio?). Spesso il flacone di plastica lo riutilizzo (questo in effetti lo dico in tributo al mio “passato ma non troppo” da nazi-vegana ed narco-ecologista… ). Per i formaggi mi dice mio papà che all’Eurospin ci sia un ottimo rapporto qualità/prezzo: mi fido, perchè avendo scoperto da poco un’intollerranza patologica ai latticini li devo evitare, purtroppo. Fosse per me un pezzo di grana ed un bicchiere di vino sarebbero il connubio ideale per ogni appetito. Ho detto l’ideale, non il top: perchè si può essere folli, come diceva Steve Jobs, non deficienti, dunque usiamola ogni tanto la nostra bella e ricca lingua italiana. Per i vini andateci sereni all’Esselunga, c’è una vasta scelta anche in offerta e super offerta del giorno, tipo un Saraceno a meno d 5 euro davvero delizioso. Ma questo mese incorono la Lidl regina del mio risparmio: deodorante roll all’aloe vera a meno di 2 euro. Ripetutatmente testato sulla sottoscritta. Allora, come sono andata? Dite che me lo regaleranno adesso l’olio pugliese con 1000 punti?

Postilla: i prodotti Cien rispondono alle norme della Comunità Europea, privilegiano ingredienti naturali e non sono testati sugli animali. Ma soprattutto dovrebbero pagarmi per questa promozione gratuita…

 

 

 

E’ meglio la merda di cane

Stamattina, mentre facevo passeggiare il cane del mio vicino festaiolo, alla sua terza defecatio, giungevo alla seguente conclusione: meglio una merda di cane che un sacchetto di plastica o una bottiglia di birra abbandonati per terra. La merda si ricicla, la plastica no. Naturalmente dovrebbe essere d’obbligo raccogliere le feci dei propri cani, soprattutto in città: ma in un campo o in un prato in cosa non vorrei mai imbattermi? Non nella merda di un cane, che per quanto poco piacevole è pur sempre eliminabile e concima. Una bottiglia di plastica quanti anni impiega a sparire dalla faccia della terra? Ma soprattutto, sparisce mai veramente e del tutto? La plastica impiega dai dieci ai vent’anni per essere eliminata dall’ambiente, ma in qualche forma ce la ritroviamo comunque nel nostro futuro. La prossima volta che pesterete una merda di cane, dunque, oltre ad alzare inevitabilmente gli occhi al cielo, pensate che siete stati fortunati comunque a non imbattervi in una bottiglia o in un sacchetto di plastica che qualche idiota ha disperso incurante nell’ambiente.

Saper scegliere

Non è che il biologico sia sempre la scelta migliore. Se per consumare del cibo biologico, ad esempio, dovessimo essere costretti a percorrere o a far percorrere a terzi centinaia di chilometri in auto ecco che la scelta potrebbe rivelarsi addirittura dannosa per l’ambiente e di conseguenza per noi stessi. Accontentarsi di una semplice azienda agricola o di uno spaccio di frutta e verdura nelle vicinanze della nostra abitazione in quest’ottica parrebbe l’opzione più sensata. Va da sè che anche al supermercato si può, anzi, si deve fare una spesa con criterio. Anche se non fossimo particolarmente amanti della natura, conoscitori dei suoi cicli biologici o della stagionalità dei prodotti, non potremmo non accorgerci  immediatamente, dalla quantità e dalla disposizione in bella mostra, dei frutti e degli ortaggi del periodo. Inutile acquistare fragole acquose quando i cesti di frutta esplodono letteralmente di clementine o accanirsi nello scovare i pisellini primavera in inverno! Mangiare seguendo il corso delle stagioni è una scelta naturale, sana ed eco sostenibile. C’è una ragione se la terra ci da determinati frutti in un periodo e non in un altro. Per non parlare di quelli che si riempiono il carrello o i cestini di frutta e verdura già confezionata: perdere una manciata di minuti per pesare la merce quanto potrà incidere nella nostra stra articolata vita? Dove pensiamo che finiscano tutte le inutili confezioni di polistirolo, plastica e materiali analoghi che ci portiamo a casa e dei quali ci liberiamo non appena riponiamo gli acquisti in dispensa?  Le strombazzate occasioni alla 3×2, inoltre, nella maggior parte dei casi sono inutili ai fini della nostra economia domestica: mangiare un chilo di pasta in meno o una confezione di merendine, autentico attentato alla salute, non potrà che giovarci. Tutti, me compresa, per la fretta, per la disattenzione o semplicemente per pigrizia fa o ha fatto scelte errate, ma non per questo bisogna persistere. Errare humanum est sed perseverare diabolicum. Ma senza tirare in ballo Satana direi che fare una spesa casuale è stupido, perchè a farne le spese saremo noi, non gli alieni.

Le chimere natalizie

Quest’anno non voglio cedere alla lusinga dell’albero di Natale. L’anno scorso ho recuperato dei rami da una punta di un albero che era stato scapitozzato (mio malgrado) e l’ho addobbato con dei fiocchi di tulle nero che avevo in casa. Se siete tanto affascinati dagli addobbi natalizi, riciclate, utilizzando ciò che già possedete, quest’anno più che mai. I mercatini di Natale sono invitanti, si sa, ma chiediamoci se in un qualunque altro periodo dell’anno saremmo disposti a subirci interminabili code in auto per arrivare in loco alla ricerca dell’addobbo perfetto: si tratta solo di gingilli inutili. Per non parlare delle tonnellate di alberi che ogni anno vengono sradicati, compromettendo gravemente il nostro eco sistema. Praticamente siamo disposti a toglierci consapevolmente parte dell’ossigeno di cui noi, esseri viventi, abbiamo bisogno per sopravvivere pur di gratificare un lato puramente estetico e privo di qualunque altro valore per la nostra vita. Non è che con gli alberi di plastica il problema non si ponga: quante altre isole di plastica al largo delle coste oceaniche vogliamo contribuire a formare prima di fermare la nostra folle e insensata corsa verso la distruzione del pianeta?

Se credete al Natale come momento di condivisione e di convivialità (non tiro in ballo il suo significato religioso non essendo ferrata in materia), allora accontentatevi di festeggiarlo nella maniera più semplice e naturale del mondo: stando insieme ai vostri cari. Acquistate solo lo stretto necessario: che bisogno c’è di dieci panettoni quando è risaputo che al termine di pranzi o cene pantagrueliche è già tanto se se ne assaggia una fetta? Che bisogno c’è di preparare quintali di carne e tonnellate di pasta fatta in casa quando già dopo l’antipasto, complice qualche bicchiere di vino in più, ci si sente abitualmente sazi?

Non si tratta di risparmiare perché c’è la crisi: mai come in questo caso è dimostrato che più che di crisi si dovrebbe parlare di inutili sprechi, se è vero che il 40% del cibo viene quotidianamente gettato nell’immondizia. Si tratta semplicemente di buon senso. Chiediamoci se quello che ci fa stare insieme è il cibo o se il cibo sia una scusa per stare insieme.

Se scegliamo la seconda opzione, siamo già sulla buona strada per una vita verso un consumo un po’ più consapevole.

The sky is a landfill

Oggi, andando a pagare la bolletta della luce in posta, sono passata sul ponte di ferro che collega via Tucidide a via Ortica. L’espressione “non potevo credere ai miei occhi”  in questo caso mi pare la più appropriata per rendere l’idea del livello di degrado che ho riscontrato in questa zona della “civilissima” Milano.

 

Non c’erano solo carte e cartacce sparse su tutti gradini, tra cui anche un ritaglio di una copertina di un vinile che ritraeva John Lennon e un pezzo di Paul Mc Cartney (oltretutto mi domando come si possa strappare impunemente la copertina di un disco dei Beatles…) Dulcis in fundo, giunta alla sommità della rampa di scale, in un angolo giaceva, ma sarebbe meglio usare il presente e anche il futuro, un sacco di Zara pieno di spazzatura, sparpagliata ovunque.

 

Sulla medesima scalinata tempo fa ho schivato per miracolo una merda fossile di cane, che in questi giorni mi perseguita, evidentemente, dato che ieri ne ho pestata una fumante. Mi guardo attorno e vedo solo immondizia. The sky is a landfill, cantava celestiale Jeff Buckley  (Sketches for my sweetheart the Drunk), tristemente profetico, così come lo sono gli autori degli scritti sulla decrescita che mi stanno appassionando in questo periodo.

 

“Anche se bloccassimo da un giorno all’altro tutto ciò che provoca un superamento delle capacità di rigenerazione della biosfera (emissione di gas serra, inquinamento e devastazione di tutta la natura), se, in altre parole, riducessimo la nostra impronta ecologica fino a raggiungere un livello sostenibile, avremmo due gradi in più prima della fine del secolo…” (Serge Latouche, Didier Harpagès, Il tempo della decrescita, Elèuthera edizioni, 2011)

 

A questo punto, se la fine è nota, a cosa serve risparmiare energia, ridurre i consumi, adottare comportamenti virtuosi e rispettosi nei confronti dell’ambiente? La risposta mi viene dal profondo del cuore: per dignità, per decenza e per senso del decoro che abbiamo sempre spacciato come qualità che ci differenziano dagli animali (io credo comunque che sia meglio un gatto che si lava il culo con la lingua piuttosto di un uomo che va a letto senza lavarsi i denti).

 

Dobbiamo farlo anche per lasciare una speranza ai posteri, che non possono ancora essere accusati dei nostri stessi misfatti e che nasceranno già con la spada di Damocle sul collo. Qualche ecologista di visioni definibili estreme sostiene che le persone intelligenti non dovrebbero nemmeno mettere al mondo figli: ma non si possono uccidere così i sogni degli uomini. E’ lecito sperare in un futuro diverso, pertanto è obbligatorio adoperarsi il più possibile nel proprio quotidiano per la sopravvivenza del pianeta, che non è un concetto astratto.

 

L’incivile che ha gettato incurante un sacco della spazzatura per strada provasse a materializzarlo nel futuro di suo figlio! Una delle rare trovate pubblicitarie efficaci di qualche tempo fa mostrava una mamma distratta che getta alla rinfusa barattoli, fazzoletti di carta, contenitori vari alle sue spalle per ritrovarli poi, sorpresa, nella culla del figlio.

 

Io non so davvero se esistano alternative alla morte del pianeta, in questo momento sono parecchio sconfortata, come quando alcune persone, sapendo che non mangio più carne, sorridono beffarde. Io sono un’ex mangiatrice di carne anche piuttosto triviale, nel senso che spesso mi cibavo della classica insalata e bistecca pur di non fare lo sforzo di cucinare qualcos’altro. Mi ritengo fortunata ed evoluta nell’aver abbandonato, sia pur in età avanzata, le proteine animali. Non per questo me ne vado in giro agghindata come un santone indiano a predicare la pace: ognuno è libero di fare come gli pare, di invitarmi a cena senza per questo subire interminabili sermoni sui vantaggi di una dieta vegetariana. Tanto più che non ho comportamenti fobici né intransigenti per natura, quindi uno strappo alla regola ci sta, per non mortificare un’amica che ti offre un  pezzo di torta, per esempio…

 

Credo che la consapevolezza e il rispetto per ciò che ci circonda non debbano mai prescindere dalle nostre origini, dalle nostre tradizioni, dalla nostra cultura.

 

Io dico sempre che vegetariana lo sono da poco, veneta dalla nascita (solitamente quando non rifiuto un bicchiere di vino). Perchè è solo nella convivialità e nelle relazioni sociali che traiamo la forza per affrontare il domani, incerto o catastrofico che sia. Se ognuno nel proprio quotidiano pensasse all’altro in termini di convivialità e di arricchimento non butteremmo a terra nemmeno un mozzicone di sigaretta (cosa che abbiamo fatto tutti, me compresa).

 

Lo sconforto, mitigato dalla sfida per un futuro migliore, diventerebbe sopportabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa faccio in pratica per il mio consumo consapevole

Parlare di consumo cosapevole e poi riempirsi il carrello della spesa di pacchi, pacchetti, confezioni e barattoli, non sarebbe nè coerente nè intelligente.

Così, da un pò di tempo a questa parte, compro solo lo stretto necessario: per la frutta e la verdura mi servo alla Cascina Cavriana, proprio dietro Forlanini, un’azienda agricola che il sabato sera si trasforma in trattoria. Li compro la parella, un tipo di insalata che mi piace molto al contrario della spumiglia, pomodori e finocchi (quando è stagione), cipolle, aglio, zucchine in questo periodo, soprattutto la specialità del posto, quelle a forma di fiore che si cucinano semplicemente a vapore e si condiscono con un filo d’olio e sale a piacere (io non lo metto quasi mai). Infine mele e uva, se di stagione. Non spendo mai più di 10 euro. Per il cereali, la pasta, il riso, le gallette senza lievito, le mandorle e qualche prodotto per la casa o per l’igiene della persona vado da Naturasi e li spendo anche 60 euro, una volta alla settimana. Naturalmente in macchina (in bici sarebbe ardua, dato che lavoro a Cologno Monzese) tengo sempre un paio di shopping bag in modo da non accumulare troppi sacchetti, per quanto biodegradibili (non lo sono mai al 100%).

Cerco di fare le lavatrici di sera, si risparmia il 30% rispetto agli orari diurni. Ovviamente utilizzo l’acqua corrente il minimo indispensabile e stacco le spine della tv ogni volta che non sono in casa o che mi assento per qualche giorno. La raccolta differenziata credo sia ormai consuetudine comune, voglio sperarlo.

E da oggi ho iniziato a riciclare: un barattolo d’orzo l’ho trasformato in un porta penne, ricoprendolo con della carta velina dove mi era stato incartato un maglione acquistato l’inverno scorso. Una bottiglia d’olio in terracotta, una volta eliminata l’etichetta con acqua calda e aceto, ora è un porta fiori. Tutti i vasetti di vetro che ora contengono marmellate, pesto, pomodorini secchi, diventeranno dei contenitori per creme che preparerò con l’oleolito e la cera d’api. Per la ricetta dell’oleolito ringrazio la blogger Stefania Rossini, che ci ha “insegnato” come Vivere in 5 con 5 euro al giorno (Edizioni L’età dell’Acquario).

Il fatto di vivere in due case (una a Verona, dove torno di rado e l’altra a Milano, dove lavoro) non sarebbe compatibile con una vita eco sostenibile: ma la vita mi ha portato a fare questa scelta e ora cerco di limitare doppiamente i consumi e gli sprechi di risorse. Alcuni flaconi di detersivo li ho da anni, ad esempio, nella casa in cui vivo di meno. Una volta terminato il contenuto, sicuramente tossico e altamente nocivo per l’ambiente, li riutilizzerò riempiendoli di acqua e aceto o acqua e bicarbonato, in modo da creare detersivi naturali che non inquinino e non compromettano ulteriormente la nostra salute.

Sono ancora lontanissima dal ritenermi una consumatrice consapevole, perchè acquisto ancora troppe “cose”, uso la macchina più spesso di quanto dovrei, tiro lo sciacquone troppe volte, a volte sovrappensiero. Ma ho intenzione di impegnarmi di più in questa direzione, perchè sento e so che è l’unica direzione percorribile per un mondo eco sostenibile.

La mia vita a impatto zero

Ho sempre ammirato Paola Maugeri per la sua professionalità e ho sempre trovato ingiustificato il fatto che una brava e talentuosa professionista come lei non avesse spazi adeguati nella tv contemporanea.  Negli anni ho maturato la convinzione che il fatto di “esserci” o meno nel rutilante circo mediatico sia un dato insignificante rispetto a quanto una persona può lasciare del suo passaggio sulla terra.

L’esperienza di sette mesi nei quali Paola, insieme alla sua famiglia, ha vissuto senza elettricità, senza riscaldamento, nutrendosi di prodotti rigorosamente di stagione  provenienti da un’azienda a km zero biologica e biodinamica, ha ispirato un libro, La mia vita a impatto zero (più corretto definirla, per ammissione della stessa autrice, “verso l’impatto zero” data l’impossibilità di vivere non impattando almeno in parte sull’ambiente). Per chi conosce il pensiero dell’economista francese Serge Latouche alcuni dati emergenti dalla lettura del libro quali il fatto che noi, che rappresentiamo il 20% della popolazione, sfruttiamo l’80% delle risorse del pianeta, sono argomenti tristemente noti. Del resto è incoraggiante che in molti anche in Italia, da Maurizio Pallante a Paolo Ermani, da anni vadano esprimendo i medesimi concetti attraverso testimonianze, conferenze, manifestazioni e non ultima la rete. Ma quello che rende il libro di Paola diverso è il calore che trasuda da ogni singola pagina, oltre che uno stile da esperta romanziera che le invidio sinceramente. Se è vero che per ognuno di noi esiste un destino, quello di Paola è stato segnato precocemente da un atto istintivo e all’epoca inconsapevole: è soltanto una bambina quando il suo corpo rifiuta la carne e mostra una spiccata predilezione per i frutti della terra, che nell’assolta Sicilia degli anni ’70 crescono generosi. Sembra di vederla con il cappellino fatto a uncinetto, addobbato di piccole roselline, che va a fare la spesa al mercato con la sua mamma, assaporando tutto il gusto e la magia di certi momenti irripetibili che la vita ci dona. Così come quando stregata dalla musica classica o jazz proveniente dalla stanza del padre sente crescere in lei tutta l’ammirazione per quell’uomo che l’ha poi accompagnata e sorretta nella sfida di una vita a impatto zero, in una realtà, quale quella milanese, sideralmente lontana dalla sua Catania. Città ricca di cultura, Catania, ammantata di fascino e di mistero, ma di cui una Paola sempre bambina ricorda anche l’aspetto meno poetico, quello di una mentalità, vittima di logiche mafiose, in cui è normale dare fuoco alla spazzatura e deturpare l’ambiente. Giustamente nel libro viene citato François Truffaut che sosteneva che da zero a quattro anni siamo ciò che saremo per tutta la vita. Il coraggio è una dote che si dimostra di avere fin da piccoli ed è proprio il coraggio, unito ad una buona dose di determinazione ad animare Paola nel mettere in pratica e diffondere idee come la lotta allo sfruttamento degli animali, la tutela e la salvaguardia dell’ambiente e l’invito ad un’alimentazione consapevole. Il tutto “senza perdere la tenerezza” e la femminilità, che fanno di lei anche un’icona contemporanea di stile ed eleganza.

Per una volta i politici abbracciano una giusta causa

Un’inziativa della LAV (Lega Anti Vivisezione) ha incontrato il favore di più di un centinaio di senatori che hanno aderito al VEGDAY, il giorno vegetariano, organizzato presso il ristorante Il Margutta RistorArte di Roma, con un esclusivo menu ideato dallo storico ristorante senza ingredienti di origine animale. L’iniziativa è stata accolta con entusiasmo e curiosità dai Senatori che hanno apprezzato il menu veg sia dal punto di vista della qualità che delle finalità salutari per l’uomo, per gli animali e anche per l’ambiente. Mentre un menu tipo a base di carne (primo, contorno, pane e carne) produce circa 2234,31 grammi di CO2eq. e consuma circa 1253,1 litri di acqua, un menu vegan (pasta o riso, ortaggi di stagione, pane, legumi) produce circa 577,81 grammi di CO2eq e consuma 463,1 litri di acqua. L’1 e 2 dicembre la LAV porterà il VEGDAY nelle principali piazze d’Italia invitando Istituzioni, aziende e privati ad aderire, proponendo menu e consigli di chef di alta cucina. L’istituzione del giorno vegetariano è proposta dalla LAV nell’ambito della campagna Cambiamenu, finalizzata a promuovere la scelta di menu totalmente verdi almeno una volta a settimana, sollecitando l’offerta di alimenti senza ingredienti di origine animale in tutti i luoghi di ristoro pubblici, convenzionati o privati. La proposta dell’Associazione riprende iniziative simili organizzate in tutto il mondo, da Gand (Belgio) a Los Angeles (Stati Uniti), per diffondere la buona pratica di mangiare in modo consapevole almeno in un determinato giorno della settimana, nel caso del nostro Paese il mercoledì.

Io aggiungo che se si mangisse così tutti i giorni avremo risolto non pochi problemi di conclamata drammaticità per il pianeta.

Consumare meno e meglio

Essere vegetariani non significa essere stolti: mi spiego necessariamente meglio. Vegetariana lo sono da qualche anno, di conseguenza è evidente che ho accumulato negli anni una serie di cose, oggetti, abitudini non in linea con la mia scelta attuale. Ritengo però che sbarazzarsi di tutto ciò che sia di derivazione animale, che già si possiede, sia una scelta consumistica e stupida. Dato che sono stati spesi dei soldi, dato che sono stati ammazzati degli animali, dato che delle forze lavoro sono state impiegate per produrre quelle cose, io le utilizzerò fino alla consuzione: va da sè che d’ora in avanti cercherò di orientare i miei acquisti in una direzione più consapevole. Personalmente riscontro ancora parecchie difficoltà nello shopping di vestiario e calzature: queste ultime in particolare, dato che quelle vegane che mi è capitato di vedere fanno veramente orrore. Non credo che il buon senso vada disgiunto dal buon gusto. Mi appello agli stilisti affinchè sposino tutti, per quanto possibile, un concetto di moda etica: so che Stella Mc Cartney è una coscienziosa disegnatrice di moda che non utilizza prodotti di derivazione animale, ma sinceramente non è nella mie corde nè tanto meno nel mio budget spendere 1000 euro per una borsa! (ho sparato una cifra a caso, non concosco il prezzo reale, ma credo di essermici avvicinata). Non butterò il mio vecchio divano in pelle, non regalerò tutte le mie scarpe alle amiche, anche perchè, non essendo mai stata fashion addicted, non possiedo nè armadi che esplodono di vestiti nè stanze traboccanti calzature. Quello che farò, che sto già facendo, è stare maggiormente attenta alla filiera produttiva che si cela dietro ad un capo d’abbigliamento, per esempio, ma ancora di più mi chiederò, prima di buttarmi nell’ennesimo acquisto incauto, se ho davvero bisogno di quella sciarpa, di quel paio di guanti o di quella crema. Sono sicura che la maggior parte delle volte ci rinuncerò. E ne sarò contenta.